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Smart city, resilient city: resilienza delle città digitali

Smart city, resilient city: resilienza delle città digitali

La pandemia non è la prima e non sarà l’ultima emergenza da affrontare a livello collettivo. Il digitale può aiutarci a reagire prontamente alle difficoltà, rendendo città e cittadini più resilienti. Dopotutto, non può esistere una smart city che non sia anche una resilient city.

In un’epoca di rapidi mutamenti, devono cambiare anche i parametri secondo cui giudicare la qualità della vita nelle città. Complici la pandemia e i lockdown, il 2020 ha impresso una notevole spinta alla digitalizzazione, ormai parte integrante della quotidianità di tutti, lavorativa e non. Le amministrazioni devono perciò adattarsi velocemente alle nuove istanze, provenienti dal basso, i cittadini, e dall’alto, l’Europa, per dare vita a vere e proprie città digitali. E non devono farlo solo le più colpite dalla pandemia, perché il digitale continuerà a essere protagonista anche nel new normal, la nuova normalità post-Covid. Lo sarà certamente nel settore sanitario, con lo sviluppo della telemedicina. Ma anche in quello della sicurezza, dell’energia, dei trasporti e in ogni aspetto della vita privata e comunitaria di ognuno.

Le città digitali d’Italia

Date le premesse, risulta tanto più significativa l’annuale classifica dei capoluoghi più intelligenti, l’ICity Rank, che misura il livello di smartness delle città italiane. Nell’edizione 2020, FPA ha deciso di concentrare la sua indagine esclusivamente sulla loro capacità di tenere il passo della digital transformation. Ne sono risultati 8 nuovi indicatori:

  • accessibilità online dei servizi pubblici
  • disponibilità di app di pubblica utilità
  • adozione delle piattaforme digitali
  • utilizzo dei social media
  • rilascio degli open data
  • trasparenza
  • implementazione di reti wi-fi pubbliche
  • tecnologie di rete intelligenti

Da anni sono Milano, Firenze e Bologna a piantonare il podio, con il capoluogo lombardo sempre al primo posto. Ma per il 2020 è Firenze la più smart, o, meglio, la più digital. Si confermano purtroppo le disparità tra Nord e Sud, con le sole eccezioni di Cagliari, nella top 10, Palermo, Lecce e Bari.

Le smart cities sono più resilienti

Com’è noto, una smart city si può definire tale quando gli investimenti e le infrastrutture favoriscono una crescita economica sostenibile, con una gestione saggia delle risorse naturali, che va di pari passo con un aumento della qualità della vita e della partecipazione dei cittadini alla governance. Ne è un perfetto esempio la Città del Quarto d’Ora, il nuovo modello cittadino che sembra essere il futuro della pianificazione urbanistica. Ma a nulla valgono gli sforzi nell’innovazione se il castello cade alla prima emergenza, sia essa ambientale, sanitaria, economica o di qualunque altra natura. Una città è intelligente soltanto se si dimostra anche resiliente.

Nei momenti di crisi, infatti, sopravvive e continua a crescere solo chi si adatta e reagisce: il digitale è un aiuto indispensabile in quest’ottica. Permette di gestire più prontamente le emergenze di qualunque genere e di ridurne i danni, incoraggiando la partecipazione di tutta la comunità ai processi decisionali, ove possibile. Le amministrazioni, in collaborazione con aziende, cittadini e scuole devono perciò implementare le tecnologie di questo tipo su diversi fronti, che sono ben evidenziati dagli indicatori sopra citati.

L’obiettivo è di dotare preventivamente le città e i loro abitanti degli strumenti tecnici e cognitivi adatti ad affrontare non solo la quotidianità, ma anche le situazioni più critiche con spirito propositivo, per non rimanere spiazzati al primo accenno di difficoltà. Non è un caso che si adotti sempre più spesso un orizzonte di pensiero cittadino piuttosto che nazionale. Le buone prassi partono spesso da contesti di dimensioni ridotte e solo in un secondo momento si diffondono e danno vita a reti virtuose. L’attenzione specifica alla dimensione cittadina è ancora più motivata se si tiene conto del fatto che il 55% delle persone vive ormai in contesti urbani, che occupano solo il 4% del suolo terrestre a fronte di una responsabilità del 67% dei consumi energetici e del 70% delle emissioni di gas serra. Dalla trasformazione digitale dipende infatti anche quella verde.

I cittadini, motore delle città digitali

Allargando la prospettiva all’Europa, è significativo il risultato del DESI 2020 (Digital Economy and Society Index), che evidenzia i progressi degli Stati Membri in 5 campi: connettività, competenze digitali, uso di Internet da parte dei singoli, integrazione delle tecnologie digitali da parte delle imprese e servizi pubblici digitali. I leader del settore sono naturalmente i paesi nordici e l’Italia si posiziona quart’ultima, ma si distingue per quanto riguarda la connettività, cioè la realizzazione di reti ad altissima capacità, in preparazione al 5G. I dati sono tuttavia aggiornati al 2019 e non tengono perciò conto della spinta alla digitalizzazione impressa dall’emergenza sanitaria in tutti i parametri di giudizio.

Il secondo indice, di cui l’ICity Rank non tiene invece conto, è particolarmente significativo, perché misura la capacità effettiva delle persone di utilizzare le tecnologie digitali a disposizione e dunque di accedere a informazioni e servizi. La formazione in questo senso sarà indispensabile, a scuola, per istruire i cittadini smart del futuro, e fuori, con programmi destinati alle generazioni meno giovani. La richiesta di investire sul digitale non è infatti soltanto un’imposizione, per quanto lungimirante, proveniente dai piani alti. Sono i cittadini stessi, sempre più consapevoli ed esigenti, a pretendere innovazione costante. A tal proposito, secondo un’indagine di Capgemini, compiuta su 10mila cittadini e 300 funzionari comunali di 58 città in 10 Paesi, il 40% degli abitanti non è soddisfatto dei servizi tecnologici a disposizione nella propria città e si dice disponibile a trasferirsi in città più digitali, anche se ciò significasse pagare di più.

«La crisi Covid-19 ha dimostrato quanto sia fondamentale che i cittadini e le imprese siano collegati e in grado di interagire tra loro online.» – ha dichiarato Margrethe Vestager, Vicepresidente della Commissione Europea – «Continueremo a collaborare con gli Stati membri per individuare gli ambiti che necessitano di maggiori investimenti affinché tutti gli europei possano beneficiare dei servizi e delle innovazioni digitali». Il Recovery Fund sarà un’ottima occasione, per chi saprà coglierla, di investimenti in questa direzione.

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