Con il petrolio in esaurimento e il settore dei trasporti che non accenna a diminuire le sue emissioni inquinanti, i biofuel potrebbero essere l’investimento chiave in ottica sostenibile.
Il consumo energetico dei trasporti e la conseguente entità delle sue emissioni di gas serra nell’atmosfera stanno aumentando costantemente. Tanto da rendere il settore responsabile del consumo di un terzo dell’energia dell’UE e di oltre un quarto delle emissioni. La maggior parte di esse è causata dal trasporto su strada (auto, camion, autobus e simili), seguito da quello marittimo e aereo. È perciò evidente che nella lotta al cambiamento climatico non si può prescindere da una riforma radicale del settore, che deve liberarsi al più presto dei combustibili fossili. Ma la transizione sarà indispensabile anche a causa di un’altra complicazione: come tante altre risorse non rinnovabili, anche il petrolio è in esaurimento. A tal proposito, si stanno implementando la produzione e l’utilizzo del biofuel.
A partire dalla legge 81/2006, riguardante, tra le altre cose, la riconversione green delle imprese di produzione e di distribuzione di benzina e diesel, l’utilizzo di biocarburanti è cresciuto notevolmente. In base al DM del 30 dicembre 2020 del Ministero per lo Sviluppo Economico, inoltre, dal 2021 è aumentata la quota d’obbligo di immissione in consumo, dal 9 al 10%. Durante i lockdown dei mesi scorsi, tuttavia, il prezzo del petrolio è crollato a causa dello stallo dei trasporti ed è perciò diminuita la domanda di carburanti sostenibili. Ne è conseguito un significativo 11,6% nella produzione del 2020, il primo dato in negativo degli ultimi vent’anni.
Cos’è il biofuel e come si ricava
La necessità di impiegare carburante sostenibile quella di riciclare i rifiuti e riutilizzare gli scarti di fabbrica, si possono incontrare nella produzione di biocarburanti. Questi si ottengono da sostanze organiche di vario genere e in particolare dalle biomasse, scarti provenienti dalle attività agricole, forestali e industriali, nell’ottica dell’economia circolare. La sostenibilità innegabile a livello di fonti non deve però essere compromessa ad altri stadi della filiera, per esempio con trattamenti impattanti sull’ambiente.
La lavorazione della gran parte delle biomasse si svolge in due fasi:
- La trasformazione della materia prima in un olio impuro (ricco di zolfo, azoto e ossigeno)
- La raffinazione dell’olio, grazie all’aggiunta di idrogeno e all’aumento di pressione e calore
Entrambi i passaggi sono costosi, necessitano grandi quantità di energia e producono molta CO2, rendendo i biofuel non ancora propriamente ecologici. L’obiettivo primario deve essere perciò quello di semplificare il processo, rendendolo più green. Per esempio, accorpando i passaggi e sostituendo all’idrogeno il metano, come suggerisce uno studio pubblicato dall’Università di Calgary. Più economico dell’idrogeno, il metano ne contiene comunque una piccola quantità. Per eliminare questo residuo alla fine della lavorazione sarà sufficiente utilizzare un catalizzatore (HZSM-5) che scateni la reazione chimica. Allo stesso modo, durante il processo di lavorazione vengono eliminate anche le sostanze dannose che con la tecnica tradizionale sono invece liberate nell’aria.
Un altro rischio per l’ambiente causato dall’impiego massiccio di biocarburanti potrebbe essere l’aumento delle coltivazioni intensive delle piante utilizzate per la loro produzione, come la soia. Ciò provocherebbe infatti massicce deforestazioni, a meno che le politiche europee non precisino definitivamente i limiti entro cui muoversi.
I principali carburanti sostenibili
Esistono diverse tipologie di biofuel, in base alle biomasse utilizzate e ai metodi di lavorazione. Le principali sono:
- Bioetanolo. È prodotto dalla fermentazione alcolica degli zuccheri di mais e canna da zucchero. Le normali auto possono utilizzarlo solo se miscelato con la benzina, in genere con rapporto 85-15 o 10-90. Oggi si preferisce scegliere per la materia prima piante non edibili dall’uomo, a base di lignocellulosa, abbondante e poco costosa.
- Biobutanolo. Molto simile al bioetanolo per la produzione tramite fermentazione e per l’impiego in miscela con la benzina, ha però un potere energetico maggiore. È tuttavia anche molto più tossico in grandi quantità e necessità perciò di ulteriori sperimentazioni.
- Biodisel. Nella produzione, a partire da olii vegetali (soia, girasole, palma, colza…), sono i trigliceridi ad essere trasformati in biocarburante. Anche in questo caso si sta sperimentando l’utilizzo di olii non utili all’alimentazione umana. Tra gli altri, quelli derivanti dalla lavorazione del legno, quelli dei fondi di caffè, di piante non edibili o persino prodotti a partire dalle alghe.
- Biogas (biometano). Viene prodotto a partire da scarti provenienti da attività di vari settori, soprattutto agricole e industriali, tramite “digestione anaerobica”. Questa fa sì che il metano e l’anidride carbonica si separino dal resto della sostanza dando vita a un biofuel tra i meno costosi.
Come si è accennato, i biocarburanti di prima generazione, prodotti a partire da biomasse alimentari, devono lasciare spazio a quelli di seconda (biomasse non alimentari e scarti) e terza generazione (alghe). Questi ultimi in particolare sono oggetto di continue sperimentazioni volte ad aumentare la produzione di alghe marine, da tecniche avanzate di acquacoltura ai pannelli solari per accelerarne la crescita. È infatti probabile che la domanda di biofuel torni a crescere nei prossimi tempi e le alghe, al contrario delle altre biomasse derivanti da piante necessarie anche per l’alimentazione, potrebbero supplire.