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Le comunità energetiche: vantaggi e case history

Le comunità energetiche: vantaggi e case history

Le comunità energetiche funzionano e stanno prendendo sempre più piede.

È ormai chiaro come la transizione energetica e la sharing economy siano i pilastri dello sviluppo sostenibile. Le comunità energetiche abbracciano entrambi questi aspetti rappresentando un modello ideale non solo di sostenibilità, ma addirittura di approccio rigenerativo, ovvero ciò di cui l’ambiente ha davvero bisogno oggi. La transizione energetica, infatti, dovrebbe andare ben oltre il mero passaggio da fonti non rinnovabili a fonti rinnovabili, spingendo a ripensare da zero il modo in cui produciamo, distribuiamo e fruiamo l’energia.

Cosa sono le comunità energetiche

Se esiste una certezza rispetto all’evoluzione del settore energetico è che dovrà essere sempre più improntato alla condivisione. Le CER (comunità energetiche rinnovabili) rispondono proprio a questo bisogno, consentendo a cittadini, PMI ed enti locali di aggregarsi in forma associativa per dare vita a impianti rinnovabili e sostenibili grazie ai quali autoprodurre, condividere e vendere energia pulita. È evidente come questa pratica stia favorendo la produzione delocalizzata dell’energia, direttamente connessa con il nuovo ruolo di prosumer (producer e consumer) assunto dal cittadino (o dall’impresa o dall’ente).

Formare una CER è relativamente semplice. Basta che più soggetti si aggreghino formando un’impresa sociale o un ente del terzo settore e che si dotino della tecnologia necessaria a produrre energia. Sarà in particolare necessario costruire un impianto per la produzione di energia da fonti rinnovabili e utilizzare una batteria per l’accumulo dell’energia prodotta in eccesso rispetto alla domanda.

A disciplinare la tariffa di remunerazione della produzione energetica delle comunità è il Decreto Milleproroghe (legge 8/2020, attuazione dell’articolo 42-bis, comma 9, del decreto-legge n. 162/2019), che ha naturalmente l’obiettivo di incentivare questo tipo di pratica per favorire la transizione energetica. Gli incentivi, concessi per 20 anni, a 110 €/MWh per gli impianti appartenenti a comunità energetiche rinnovabili.

Una pratica simile e altrettanto incentivata dallo stato è quella dell’autoconsumo collettivo, l’aggregazione di due o più consumatori finali siti nello stesso edificio o condominio che possono immagazzinare e vendere le eccedenze di energia prodotta. Per loro, gli incentivi ammontano a 100 €/MWh.

I vantaggi

Sostituire le fonti fossili con fonti rinnovabili in casa comporterebbe già di per sé una riduzione delle emissioni di 950 kg a famiglia all’anno (ENEA). Ma queste fonti rinnovabili devono essere sfruttate e gestite in modo sostenibile per avere un reale impatto positivo sull’ambiente. L’istituzione di comunità energetiche permette di farlo al meglio. Per esempio, consente di accumulare l’energia prodotta in eccesso per utilizzarla quando la richiesta supera la capacità di produzione. Inoltre, condividere l’energia prodotta riduce i picchi di potenza e gli squilibri dipendenti dall’aleatorietà delle fonti rinnovabili.

Ma una CER può essere anche un rifugio sicuro per chiunque abbia sperimentato la povertà energetica – la scarsità di energia dovuta all’impossibilità di pagarla puntualmente – perché aiuta a contenere i consumi e dunque i costi. L’altra serie di vantaggi connessi alla creazione di comunità energetiche è in fatti di ordine economico. I soci possono, infatti, essere certi che risparmieranno sulle bollette e soprattutto sulle loro componenti variabili. Inoltre, possono guadagnare sull’energia prodotta in eccesso, i proventi della cui vendita vengono spartiti. Infine, gli impianti costruiti in ottica CER consentono ai privati di recuperare il 50% dei costi di costruzione.

Comunità energetiche alla prova: il caso della Sardegna

L’autoconsumo si diffonde dunque sempre più, dimostrandosi ideale anche per le realtà più piccole e isolate, che spesso rischiano di rimanere indietro nella corsa all’efficienza. Due piccoli comuni sardi del Medio Campidanese, per esempio, si sono appena aggiunti alla lista delle comunità energetiche rinnovabili, con l’obiettivo di risparmiare sui costi e di dare una spinta all’economia, facendo intanto del bene all’ambiente. L’energia prodotta e le entrate derivanti dalla sua vendita verranno ovviamente ripartite tra i soci.

Villanovaforru, 680 abitanti, ha creato una CER di 40 membri, tra i quali un bed and breakfast e un hotel. Produrrà energia a partire da un impianto fotovoltaico da circa 53 kWp costruito e spesato dal Comune sulla palestra della scuola media. 69 MWh all’anno di energia pulita da condividere per un totale di 118 € lordi per ogni MWh.

A Ussarnamanna, 512 abitanti, sono invece 60 i soci della CER, che comprende anche un distributore, un bar, una bottega e una parrucchiera. Qui 3 impianti fotovoltaici – uno da 11 kWp costruito sul tetto del Municipio, uno da 20 kWp sul deposito comunale e uno da 40 kWp sulla copertura del Centro di Aggregazione Sociale – produrranno 72 MWh all’anno di energia rinnovabile.

Le due CER sarde sono state costituite in estate e diverranno operative entro la fine dell’anno. Prima bisognerà terminare gli impianti e la registrazione delle configurazioni nella piattaforma del GSE (Gestore dei Servizi Energetici). Si tratta di esperienze replicabili potenzialmente ovunque in tutta la penisola, da adattare in base alla fonte rinnovabile più presente e conveniente in ogni area.

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