Impianti obsoleti, fonti fossili e inefficienza rendono le caldaie a petrolio e a gas nemiche dell’ambiente. Come fare a rendere il riscaldamento sostenibile?
L’inverno si avvicina, nelle case il riscaldamento è già a pieno regime, ma il prezzo del gas aumenta e solo il 17,3% degli impianti europei è decarbonizzato. Lo rivela uno studio di Coolproducts, che sottolinea come il passaggio all’utilizzo di energia pulita, cioè a un riscaldamento sostenibile, sia una condizione necessaria per il raggiungimento della neutralità climatica entro il 2050.
In Europa gli impianti di riscaldamento producono il 25% delle emissioni totali (come trasporti e industria), rendendo l’edilizia il settore più inquinante. L’80% dell’energia convogliata nelle case, infatti, serve proprio a riscaldare gli ambienti e l’acqua. E dato che la durata media degli apparecchi utili allo scopo è molto più lunga di quella di altri dispositivi domestici (oltre 20 anni), il ricambio a favore di forme di energia da fonti rinnovabili, che oggi soddisfano solo l’11% della domanda globale di calore, è parecchio più lento. Basti pensare che la metà degli impianti in funzione oggi è stata installata prima del 1992 e che il 75% funziona ancora a combustibili fossili.
Come ribaltare la situazione? Pianificando in anticipo una strategia lungimirante, a base di normative condivise e investimenti mirati, che porti alla sostituzione degli apparecchi a gas o a petrolio con pompe di calore elettriche alimentate con fonti rinnovabili.
Come rendere il riscaldamento sostenibile?
Per ridurre l’impatto ambientale del riscaldamento rendendolo sostenibile bisogna lavorare su due fronti interconnessi: la delibera di standard e requisiti da una parte e gli investimenti dall’altra. Per quanto riguarda il primo punto, è innanzitutto essenziale stabilire requisiti ambientali condivisi nell’UE sull’etichettatura energetica e sull’ecodesign. Esistono già standard in materia che hanno dimostrato la loro utilità, riducendo del 22% il consumo di energia da riscaldamento centralizzato tra 2015 e 2020. Dati confortanti ma non sufficienti, che richiedono un urgente aggiornamento delle normative, già in programma da parte della Commissione.
Ormai, infatti, non si tratta più di ridurre le emissioni: l’obiettivo al 2050 è di azzerarle del tutto. E se i combustibili fossili sono ancora la fonte energetica principale per il riscaldamento, significa che non si è ancora fatto abbastanza. Incentivare le buone prassi – e qui si passa al secondo fronte, quello degli investimenti – non basta. Contemporaneamente si deve scoraggiare la produzione e la vendita di apparecchi alimentati a combustibili fossili o a gas, per interromperla del tutto entro il 2030. Basterebbe fissare una data precisa, dando il tempo a produttori e consumatori per adeguarsi.
Il problema, però, è che al momento adottare soluzioni per un riscaldamento sostenibile è ancora costoso rispetto alla scelta di caldaie a gas. Mancano investimenti e incentivi convincenti – secondo Coolproducts servirebbero 70 miliardi di euro per accelerare il ricambio completo o 20 miliardi più una tassa di 100 euro sulla CO2. Ma manca anche una consulenza adeguata da parte degli installatori, anch’essi poco consapevoli e formati sulle alternative sostenibili. Per non parlare dell’assenza di consapevolezza dei consumatori, che andrebbero informati adeguatamente mediante etichette energetiche trasparenti e aggiornate e attraverso una sensibilizzazione massiccia, che faccia comprendere come da una decarbonizzazione dei riscaldamenti possano guadagnarci tutti.
Le pompe di calore
Tanti produttori stanno promuovendo come soluzione meno impattante la caldaia a gas a condensazione. Ma questa non consente un salto di qualità sufficiente in ottica green e, soprattutto, continua a utilizzare fonti non rinnovabili. E se pensiamo che chi compra oggi una nuova caldaia a gas, preferendo il risparmio immediato alla convenienza nel tempo, non la dismetterà prima di 10-20 anni, capiamo bene il tempo che rimane per raggiungere gli obiettivi fissati al 2030 e al 2050 non è poi così tanto.
Eppure le soluzioni davvero green esistono già. Le pompe di calore elettriche, per esempio, possono fare la differenza. Oggi sono presenti soltanto nel 10% delle abitazioni, ma il mercato è in crescita. Funzionano in modo efficiente con energia geotermica, solare ed eolica, mantenendo il calore in serbatoi di stoccaggio. E sono in grado di generare elettricità per la casa solo quando è necessaria, anche quando le fonti di energia rinnovabile non sono disponili. Se sufficientemente grandi, possono essere integrate persino in distretti energetici per riscaldare intere aree.
Si tratta insomma della tecnologia migliore e più promettente, ma dovrà essere accompagnata da un approccio olistico green. Il livello dei consumi energetici, infatti, non dipende soltanto dalla tipologia di impianto, ma anche dall’utilizzo che se ne fa e dalle caratteristiche dell’edificio. L’utilità dell’introduzione di sistemi di riscaldamento sostenibile viene perciò massimizzata se compiuta in concomitanza con una ristrutturazione. Ovvero con l’introduzione, tra le altre cose, di infissi di qualità, doppi vetri e un corretto isolamento, nonché di sensori ambientali che permettano di automatizzare l’impianto e di controllarlo da remoto. In un contesto del genere, le pompe di calore potrebbero essere davvero in grado di condurre la transizione verso la neutralità climatica del settore.