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Transizione ecologica

Transizione ecologica: cos’è e a che punto è l’Italia

L’emergenza climatica è sempre più grave, ma la transizione ecologica stenta a decollare, in Italia e nel mondo.

C’era una volta il Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare, ma da febbraio 2021 non esiste più, sostituito dal Ministero della Transizione Ecologica (MITE). È il chiaro sintomo di una presa di consapevolezza e di un mutamento di prospettive sulla questione ambientale. Se vogliamo davvero tutelare l’ambiente dobbiamo trasformare il nostro modus vivendi e operandi. Che la transizione ecologica rappresenti il passaggio a modelli di produzione, consumo e sviluppo ecosostenibili è ormai chiaro a tutti. Ma in cosa consiste esattamente e l’Italia come la sta affrontando?

Cos’è la transizione ecologica?

L’obiettivo primario della transizione ecologica è di azzerare le emissioni di gas serra delle attività umane, dirette responsabili del surriscaldamento globale e dei cambiamenti climatici. Ciò richiede un approccio sistematico e coordinato, ma soprattutto severo e molto preciso negli standard e nei target da delineare per ogni settore. Contestualmente, sarà necessario sviluppare un’economia circolare, in grado di diminuire la produzione di rifiuti e soprattutto di riutilizzare quelli prodotti. Esistono in particolare 5 punti chiave utili a evidenziare i campi d’azione della transizione.

  • Transizione energetica: per raggiungere entro il 2050 la carbon neutrality, cioè il bilanciamento tra emissioni di gas serra e la capacità della terra di assorbirle, bisognerà innanzitutto abbandonare i combustibili fossili a favore di fonti rinnovabili.
  • Agricoltura sostenibile: l’agricoltura ha un impatto ambientale enorme per il numero di animali allevati, l’utilizzo di pesticidi e il consumo di suolo e foreste. Per completare la transizione ecologica si dovrà perciò favorire un’agricoltura biologica e virare verso un approccio agroecologico, che permetterà al settore non solo di non rappresentare più una minaccia per l’ambiente, ma anche di migliorarne la ricchezza di biodiversità.
  • Tutela della biodiversità: biodiversità è sinonimo di ecosistemi sani e resilienti. Come tale va tutelata e reintegrata ove carente, a partire dal rinforzo del patrimonio forestale e dalla tutela del mare.
  • Mobilità pulita: l’azzeramento delle emissioni passa anche dall’elettrificazione della mobilità. L’obiettivo è di interrompere la vendita di auto tradizionali entro il 2030 e di veder circolare in Italia entro la stessa data 6 milioni di veicoli elettrici.
  • Divieto di trivellazioni: l’abbandono dei combustibili fossili permetterà di interrompere le trivellazioni, ma è vero anche il contrario. Impedire le trivellazioni in terra e in mare significa accelerare l’eliminazione delle fonti non rinnovabili, e in particolare di gas e petrolio, dal panorama energetico.

Ma non bisogna dimenticare anche la necessità di riqualificare un patrimonio edilizio ad oggi responsabile del 36% del consumo di energia e del 50% del consumo di materie prime, di un terzo del consumo di acqua potabile e del 39% delle emissioni di CO2.

A che punto è in Italia?

Nel Climate Change Performance Index 2022 (CCPI) l’Italia figura al 30esimo posto di una classifica guidata da Danimarca, Svezia e Norvegia. L’indice sviluppato da Germanwatch, in collaborazione con Legambiente per l’Italia, misura la capacità di risposta al cambiamento climatico di 60 paesi del mondo, cui si aggiunge l’UE, che da soli producono il 92% delle emissioni globali di gas serra. Rispetto all’anno scorso abbiamo perso 3 posizioni, soprattutto a causa del rallentamento nell’implementazione delle rinnovabili, uno dei 4 indicatori che generano il ranking insieme alle emissioni di gas serra, all’utilizzo di energia e alle politiche climatiche.

I risultati italiani sono perciò intermedi e certamente non sufficienti rispetto all’urgenza e alla gravità del problema. Preoccupa in particolare l’obiettivo inserito nel PNRR di raggiungere il 51% di emissioni in meno entro il 2030. La percentuale, infatti, non collima con il target europeo del 55% né con quello dell’Accordo di Parigi di contenere l’aumento della temperatura globale entro 1,5°. È invece più incoraggiante l’ampia porzione di fondi del PNRR stesso destinati alla transizione ecologica, circa 70 miliardi di euro.

Insomma, i soldi ci sono, gli obiettivi sono chiari, ma rimane un ostacolo operativo tipico della nostra penisola: i lunghi iter autorizzativi che rallentano anche la costruzione di impianti rinnovabili e dunque la transizione ecologica. Se l’introduzione delle rinnovabili accelerasse, infatti, sarebbe possibile raggiungere l’eliminazione del carbone come fonte energetica nel 2025. E soprattutto sarebbe possibile farlo anche senza dover contare sul gas naturale come sostituto intermedio. Un’altra criticità è la poca rigidità nello stabilire criteri di efficienza rigorosi per i vari settori. Lo testimonia, nell’edilizia, la possibilità nell’ottenere il superbonus 110% pur senza raggiungere standard compatibili con gli obiettivi europei di carbon-neutrality. Anche l’elettrificazione della mobilità non avviene in maniera abbastanza rapida da permettere di interrompere entro il 2030 la vendita di auto con motore a combustione.

Il trend italiano, carente in ognuno dei 5 punti della transizione ecologica elencati sopra, non si discosta però da quello dell’Unione Europea. Questa, infatti, intesa come insieme dei 27 stati che la compongono, è al 22esimo posto del CCPI, dopo aver perso 6 posizioni rispetto all’anno scorso. I primi tre posti della classifica, invece, sono vuoti, a testimoniare come nessuno, nemmeno i tre stati scandinavi che guidano la classifica, abbia raggiunto standard sufficienti a rispettare l’Accordo di Parigi.

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