L’elettrofilatura trasforma gli scarti agroalimentari in materiali nuovi e sostenibili, in perfetto stile circolare.
Gli scarti organici agroalimentari e agroforestali sono uno dei tesori più preziosi che abbiamo a disposizione nell’era dell’economia circolare. Potremmo utilizzarli per fertilizzare i terreni, produrre bioenergia e biocarburante oppure fabbricare prodotti di varia natura, diminuendo la necessità di nuove materie prime. Alla base della transizione ecologica dovranno infatti esserci le capacità di produrre meno rifiuti, costruendo oggetti fatti per durare a lungo, e di reimmettere i rifiuti prodotti nel ciclo produttivo. A tal proposito, l’elettrofilatura (EF) è una tecnologia indispensabile, perché consente di rendere riutilizzabili anche i rifiuti biologici. Lo sta dimostrando il CNR-IIA (l’Istituto sull’Inquinamento Atmosferico del Consiglio Nazionale delle Ricerche), utilizzando il procedimento in progetti di bioeconomia circolare.
Cos’è l’elettrofilatura?
L’elettrofilatura o electrospinning è un metodo di lavorazione dei materiali sviluppato nel corso dell’ultimo decennio. Consente di produrre fibre ultrafini (da qualche micron a qualche nanometro) a partire da un polimero fuso o una soluzione polimerica, utilizzando un campo elettrico ad alta tensione che solidifica o coagula il materiale di partenza per formare un filamento. In altre parole, permette di creare legami tra polimeri e di riorganizzarli in nuove architetture filamentose grazie all’elettricità. Il processo utilizza perciò soltanto l’energia elettrica e non richiede l’uso di solventi o di prodotti chimici di coagulazione né di temperature elevate per produrre fili solidi. Il prodotto finale dell’impiego della tecnica, infatti, è già secco e pronto per essere riutilizzato.
L’elettrofilatura e le nanofibre prodotte hanno un’ampia varietà di applicazioni, grazie alle loro proprietà uniche e alla struttura su nanoscala. Allo stato fluido, infatti, i polimeri di partenza possono essere arricchiti di particelle che modificheranno le proprietà strutturali e funzionali del prodotto finale. Le fibre saranno dunque impiegate nei settori più disparati, dall’ingegneria dei tessuti alle medicazioni per ferite alla produzione di farmaci alla costruzione di filtri e sensori a quella di celle fotovoltaiche e non solo. La configurazione di base per EF contiene solo pochi componenti e una semplice strumentazione. La difficoltà maggiore sta perciò nel determinare le impostazioni corrette per produrre fibre con le proprietà desiderate. Ci sono infatti tante variabili in gioco (polimero di partenza, condizioni ambientali e di processo, sostanze disciolte…), da programmare attentamente per ottenere il prodotto desiderato.
L’electrospinning al CNR-IIA
Presso i laboratori di sensoristica avanzata del CNR-IIA, l’elettrofilatura viene praticata anche sui polimeri provenienti da scarti agroalimentari, perché questi possano essere reinseriti nei cicli produttivi. L’upcycling è infatti alla base della transizione ecologica e dell’economia circolare e promette di produrre notevoli vantaggi sia dal punto di vista ambientale che da quello economico. All’IIA, per esempio, servono sensori per monitorare e mappare in tempo reale l’inquinamento ambientale di aree ampie. Per evitare di utilizzare nella loro produzione materiali essi stessi inquinanti, nei laboratori si utilizza l’elettrofilatura su scarti biologici, recuperati e valorizzati invece di essere semplicemente smaltiti.
I materiali di partenza possono essere molto vari e, a seconda delle componenti bioattive utilizzate, dopo l’elettrofilatura vengono destinati ai mercati più diversi, dal tessile all’agricolo, dal biomedicale all’energetico. Si tratta di un procedimento più naturale e intuitivo di quanto appaia. In natura, infatti, non esistono scarti. La trasformazione della materia e il suo cambio di destinazione sono all’ordine del giorno e innescano un circolo virtuoso che si autoalimenta all’infinito. A meno che l’uomo non lo interrompa con le sue attività dannose.
Elettrofilatura ed ecodesign
L’elettrofilatura è un ottimo presupposto dell’ecodesign, la progettazione sostenibile. Tra i principi base di quest’ultimo ci sono infatti da una parte la preferenza per la scelta di materiali di scarto da riciclare e dall’altra la creazione di prodotti fatti per durare a lungo e per poter essere facilmente aggiustati, riutilizzati o riciclati a loro volta
All’IIA del CNR attualmente i ricercatori si stanno occupando degli scarti procurati dalle collaborazioni in atto con industrie, centri di ricerca e università. Materiali che vengono scelti anche in base alle criticità di gestione presentate dalla filiera e in base alle proprietà delle loro componenti bioattive. In collaborazione con il CNR di Bari recuperano proteine elettrofilabili da scarti lattiero-caseari. Con l’Università di Siena e il Cluster BIG stanno invece lavorando sulle alghe infestanti per sviluppare sensori chimici indossabili.
A prescindere dal materiale di partenza e dall’output dell’elettrofilatura, l’idea è di produrre materiali e oggetti completamente sostenibili, semplici da gestire e da smaltire. Uno standard ideale per dare vita a una bioeconomia, di cui l’economia circolare è condizione necessaria.