Un’alternativa sostenibile e altrettanto funzionale alla plastica esiste: è la bioplastica, versatile, rinnovabile e riciclabile.
La plastica rappresenta uno dei nemici più concreti e visibili per l’ambiente. E la sua diffusione incontrollata sotto forma di rifiuti abbandonati in giro per il pianeta sta spingendo scienziati e ricercatori a trovare alternative sostenibili. Tra le più promettenti quanto a compromesso tra funzionalità e sostenibilità c’è la bioplastica, che con la formula sviluppata dal KTH Royal Institute of Technology di Stoccolma potrebbe persino essere utilizzata in edilizia. Ma come può la plastica essere bio?
Cos’è la bioplastica?
La plastica è il terzo derivato del petrolio più utilizzato al mondo: ogni anno sul pianeta ne vengono consumate 200 milioni di tonnellate. Gli aspetti critici del suo utilizzo risiedono nel fatto che proviene da una fonte non rinnovabile – il petrolio, appunto –, è altamente contaminante, soprattutto se si frantuma in microplastiche, e non è biodegradabile. Può infatti impiegare più di 1000 anni per decomporsi. Ma cosa potrebbe sostituirla senza costringere a rinunciare alla sua comodità? La bioplastica o, piuttosto, le bioplastiche al plurale, perché ne esistono di infinite tipologie a seconda del materiale di partenza.
Si tratta infatti di materiali plastici bio-based e biodegradabili prodotti da risorse rinnovabili, che possono così essere utilizzati per ridurre il problema dei rifiuti di plastica. Questi polimeri naturali, che derivano in genere da scarti agricoli, cellulosici o di amido di patate e mais, degradano al 100% rapidamente, ma sono resistenti e versatili tanto quanto la plastica tradizionale.
Alcuni tipi di bioplastica sono conosciuti anche come PHA, un’abbreviazione di “poliidrossialcanoati”, poliesteri prodotti dalla fermentazione di materie prime vegetali con una serie di ceppi batterici. I materiali ottenuti potrebbero dunque essere utilizzati più ampiamente:
- in agricoltura, per esempio per la pacciamatura
- nell’industria tessile
- in medicina per protesi e suture
- nel mercato dei contenitori e degli imballaggi
- per costruire parti di automobili
- in arredamento ed edilizia
- per le borse biodegradabili
Si stima in particolare che le tipologie di bioplastica entro 10 anni possano arrivare a coprire il 10% del fabbisogno del mercato europeo della plastica, garantendo diversi vantaggi:
- riducono l’impronta di carbonio
- garantiscono risparmio energetico nella produzione
- non comportano il consumo di materie prime non rinnovabili
- la loro produzione riduce i rifiuti non biodegradabili che contaminano l’ambiente
- non contengono additivi dannosi per la salute
- non alterano il sapore o il profumo degli alimenti contenuti
La bioplastica in edilizia
L’edilizia e l’arredamento hanno estremo bisogno di evolvere in direzione sostenibile sia dal punto di vista di tecniche e utilizzi che da quello dei materiali. E tra i mille potenziali impieghi delle bioplastiche, non dissimili da quelli della plastica vera e propria, ci sono proprio l’edilizia e l’arredamento. Almeno secondo i ricercatori del KTH Royal Institute of Technology di Stoccolma, che hanno lavorato in in sinergia con il progetto KAW Biocomposites, la Swedish Foundation for Strategic Research e Formas, Consiglio di ricerca svedese per lo sviluppo sostenibile.
La bioplastica da loro sviluppata è a base di fibre lignocellulosiche ed è pensata per sostituire le plastiche destinate a mobili e materiali da costruzione. Nonostante il fatto che sia biodegradabile, ha infatti un’ottima resistenza, richiesta per questo specifico impiego. È però necessario rendere i materiali bio-based sufficientemente robusti da sostituire quelli di origine fossile in edilizia, per arredi, porte, pannelli per pareti e controsoffitti.
La difficoltà sta nel produrre un composto di legno degradabile ad alto contenuto di fibre senza che subisca danni termici. Il ricercatore Peter Olsén e i colleghi del KTH sembrano esserci riusciti, scoprendo un metodo per fornire un alto contenuto di fibre e la degradabilità. «Nessuno è mai stato in grado di realizzare una plastica degradabile con un contenuto di fibre così elevato mantenendo una buona dispersione e contenendo il danno alle fibre», ha dichiarato Olsén.
Per riuscirci, i ricercatori hanno unito la chimica dei polimeri a una tecnologia di processo come quella impiegata per la fibra di carbonio, aumentando il contenuto di fibre. Inoltre, hanno basato tutto il processo su risorse grezze accessibili e poco costose. I sottoprodotti di degradazione della bioplastica possono essere riciclati e sono sicuri per l’ambiente: «la degradabilità consente la circolarità. Degradando la plastica, le fibre possono essere riciclate e i componenti chimici della plastica riutilizzati». Infine, questa tecnica potrebbe far risparmiare legno, preservando le foreste. Ma Olsén afferma che la formula deve essere ancora migliorata prima della commercializzazione.