Un antidoto al consumo di suolo esiste: è la ristrutturazione dei 250 km quadrati di edifici abbandonati sparsi per l’Italia.
L’eccessivo consumo di suolo è tra le minacce più gravi alla tutela ambientale, alla biodiversità e alla salute delle persone. Eppure è un tema ancora troppo marginale nei dibattiti sull’edilizia del futuro. In attesa di una legge che lo regolamenti, un modo per limitare l’avanzamento della cementificazione c’è: è la rigenerazione urbana, che mira al recupero di edifici e aree abbandonati invece che alle nuove costruzioni.
Ristrutturare per tutelare il suolo
Perché costruire nuovi edifici consumando suolo quando si potrebbero semplicemente riqualificare edifici già esistenti in stato di abbandono? In Italia sono 250 i km quadrati di superficie appartenente a edifici abbandonati che potrebbe essere rigenerata evitando la cementificazione di una pari quantità di terreno fertile. Fermare il consumo di suolo naturale significa infatti dare più respiro alle città, migliorando la salute dei cittadini e tutelando la biodiversità animale e vegetale. Il suolo è inoltre un serbatoio di anidride carbonica e può assorbirne e stoccarne in modo permanente grandi quantità contribuendo alla decarbonizzazione auspicata per il 2050. Non è un caso che sempre il 2050 sia l’anno target per l’azzeramento del consumo di suolo, in vista del quale esiste già una Soil Strategy for 2030, con azioni da compiere entro il decennio.
La rigenerazione urbana o il recupero di edifici abbandonati consentirebbero perciò alle città e alle regioni di interrompere per qualche anno l’espansione, in attesa di una legge che la regoli. Al di là delle implicazioni nella tutela ambientale, oltretutto, sono pratiche dai mille vantaggi:
- ristrutturare è meno costoso e faticoso che costruire da zero, se il nuovo progetto e la nuova destinazione non sono incompatibili con quelli precedenti
- consentono di diminuire il consumo di risorse e materie prime, favorendo invece il riutilizzo e il riciclo
- consentono di riqualificare un edificio o un’area prima abbandonati donando nuova vita al contesto o al quartiere in cui sono inseriti
Cos’è la rigenerazione urbana?
La rigenerazione urbana è una pratica di più ampio respiro rispetto alla “semplice” ristrutturazione di edifici abbandonati, perché il suo focus è il benessere della comunità che abita l’area interessata. Aggiunge così all’istanza ambientale un obiettivo di sostenibilità sociale, arrestando non solo il degrado del suolo ma anche quello della comunità e della città.
Prevede infatti l’uso mirato di finanziamenti pubblici e privati in vista del recupero e della ristrutturazione di un’area specifica di una città in stato di abbandono o degrado, apportando modifiche mirate all’ambiente costruito come parte di un piano generale più ampio. Cerca cioè di creare nuove opportunità sia per la comunità locale che per chi desidera investire nell’area riconvertendo terreni ed edifici sottoutilizzati. L’ambizione è quella di migliorare la qualità della vita delle persone che abitano nei dintorni dell’area in questione, appianando le disuguaglianze.
Perché non si ristrutturano gli edifici abbandonati?
L’Italia dispone dunque di un’area in stato di abbandono vasta quanto una grande metropoli, che attende di ricevere nuova linfa vitale. Perché è raramente presa in considerazione? È vero che alcuni di questi edifici hanno conformazioni o sono siti in aree particolari e altri sono edifici storici. Alcuni sono in stato avanzato di degrado e altri ancora si trovano in piccoli paesi poco appetibili agli occhi dei grandi investitori. Insomma, spesso il risultato non varrebbe l’investimento e tutto sommato risulta meno costoso costruire da zero, anche grazie al basso costo dei terreni edificabili. È inoltre una prassi consolidata da parte dei piccoli comuni ottenere proventi dagli oneri urbanistici nell’ambito della realizzazione di nuovi capannoni.
È evidente perciò come la ristrutturazione degli edifici abbandonati possa prendere piede solo in un contesto normativo, strategico e di consapevolezza rinnovato. Un contesto in cui ci sia una diffusa sensibilità ambientale, in cui si esca dalla mentalità centralizzante che considera sensati solo gli investimenti nelle grandi città, in cui i comuni, le regioni e lo stato incentivino il recupero e scoraggiano le nuove costruzioni e soprattutto in cui il consumo di suolo venga proibito.
Una legge in materia di consumo di suolo è infatti, in ogni caso, urgente. Nel 2022 sono stati edificati 77 km quadrati di terreno, il 10% più del 2021, e il ritmo è in crescita. Un quadro che dipende dall’assenza di una normativa efficace e uniforme a livello nazionale, nonostante le sollecitazioni europee.