L’Unione Europea potrebbe decidere di interrompere la produzione di caldaie a gas a partire dal 2029.
Nel Forum di Consultazione straordinario dell’Unione Europea sull’etichettatura energetica e la progettazione ecocompatibile tenutosi a fine aprile si è discusso l’eventuale stop alla produzione di caldaie a gas nel 2029, protagonista di un provvedimento proposto dalla Commissione. L’idea non ha entusiasmato i produttori e molti consumatori, ma costituirebbe un segnale decisivo in vista della decarbonzzazione dell’edilizia e in particolare della climatizzazione.
La discussione proseguirà per i prossimi due mesi, in cui si potranno apportare modifiche al provvedimento. Infine, saranno il Parlamento e il Consiglio europeo a decidere se approvarlo o respingerlo. L’obiettivo dell’Europa è di contribuire all’inversione del cambiamento climatico, ma anche di ridurre sensibilmente la dipendenza dal gas russo, in un contesto geopolitico attuale così delicato.
Cosa prevede il decreto?
Il provvedimento prevede soltanto l’interruzione della produzione e della commercializzazione di caldaie a gas e non l’obbligo di sostituzione di caldaie ancora in funzione. Riguarda perciò soprattutto i produttori di impianti. Chi dal 2029 dovesse invece decidere di sostituire il proprio impianto, potrà acquistare caldaie conformi alle nuove direttive, come quelle a pompa di calore, elettriche, geotermiche, ioniche o a biomassa. Si tratta di caldaie alimentate soprattutto a energia elettrica, che permetterebbe alle famiglie di risparmiare e di avere un impatto minore sull’ambiente e all’UE di risultare meno dipendente dalle importazioni di gas dall’estero. Le nuove disposizioni europee prevedono inoltre una soglia minima di rendimento del 115%, che sarebbe quasi impossibile da raggiungere per le caldaie a gas, idrogeno o gasolio.
Le critiche di produttori e consumatori
Le nuove norme rischiano però di mettere in difficoltà i produttori, direttamente coinvolti dal provvedimento, e i consumatori, che ne farebbero comunque le spese. Sul fronte dei produttori e delle aziende di manutenzione, la scadenza ravvicinata al 2029 non lascerebbe il tempo alle aziende di riconvertire la produzione. Sul fronte dei produttori, lo stop alla commercializzazione delle caldaie a gas obbligherebbe le famiglie ad acquistare tecnologie che al momento sono:
- più costose. A oggi le pompe di calore costano più delle caldaie a gas e non è detto che si riescano ad abbassare i prezzi entro il 2029. La sostituzione comporterebbe inoltre i costi degli interventi di adeguamento sull’intero impianto termico dell’abitazione.
- Rumorose. Le pompe di calore producono un rumore continuo che potrebbe creare problemi di inquinamento acustico in molti condomini.
- Più ingombranti. Molti spazi domestici sono troppo piccoli per accogliere elementi così voluminosi come quello esterno delle pompe di calore.
- Non necessariamente più efficienti. Per funzionare bene i nuovi impianti di riscaldamento a pompa di calore, sia per l’ambiente che per l’acqua, devono essere collocati in strutture abitative di nuova costruzione o comunque avere un isolamento termico di alto livello. Nelle case di vecchia costruzione o non ristrutturate, la pompa di calore potrebbe non bastare e la dispersione termica potrebbe aumentare il dispendio energetico e, di conseguenza, il costo in bolletta.
Sulla base degli impedimenti riscontrati, il capo del Dipartimento Energia della Federconsumatori Italiana Fabrizio Ghidini chiede perciò una deroga almeno per le famiglie impossibilitate a sostituire la caldaia a gas o che non hanno spazio per l’installazione di pompe di calore o sistemi alternativi previsti dal decreto.
I problemi delle caldaie a gas
È pur vero che le caldaie a gas sono responsabili di buona parte dell’inquinamento provocato dall’edilizia, a sua volta il settore più inquinante ed energivoro. Inoltre, non sono particolarmente efficienti. Nelle giuste condizioni, una pompa di calore o un sistema più sostenibile alternativo consentirebbero alle famiglie di ridurre di più della metà le spese in bolletta, ammortizzando quindi velocemente la spesa necessaria alla sostituzione. I nuovi impianti hanno infatti una vita media molto lunga, di circa 25 anni. Si tratta di un’occasione da non perdere soprattutto per chi sta già affrontando una ristrutturazione o una riqualificazione energetica, magari sfruttando Ecobonus o Superbonus.
La reazione dei Paesi europei
I diversi Stati membri hanno reagito in modo diverso alla proposta di decreto, dimostrando un atteggiamento e una prontezza differenti rispetto alla transizione energetica. Dal nord Europa arriva entusiasmo, grazie alla maggiore efficienza energetica del parco edilizio, all’avanzamento nella conversione della produzione e alla maggiore disponibilità, capacità e consapevolezza delle famiglie rispetto alla transizione energetica.
Altre nazioni, tra le quali l’Italia, sono meno propense ad abbracciare il provvedimento. Nella nostra penisola le strutture abitative non sono infatti ancora pronte per un’evoluzione del genere e necessiterebbero di incentivi da parte del governo per l’adeguamento. Come si è detto, infatti, la sostituzione dei sistemi di climatizzazione e riscaldamento dell’acqua richiede alta efficienza per portare a un concreto miglioramento. Le condizioni del parco edilizio italiano non consentono di raggiungere questi standard.
Le altre azioni previste per la transizione energetica
Lo stop alle caldaie a gas, oltretutto, non è l’unico provvedimento in fase di discussione in Parlamento. Sono mesi cruciali per la definizione della strategia di decarbonizzazione dell’edilizia, protagonista della nuova EPBD sulle “case green” e della Renovation Wave, l’ondata di ristrutturazioni promossa dall’UE. Sono in programma infatti anche restrizioni su altri fronti ai combustibili fossili, come lo stop alle auto a benzina e gasolio dal 2035. I produttori e i consumatori, non ancora pienamente usciti dalla crisi dovuta alla pandemia e alla situazione geopolitica, sono perciò destabilizzati dai cambiamenti in atto.
Nel pur necessario tentativo di uniformare la normativa tra tutti gli Stati membri, l’UE dovrebbe perciò tenere conto delle oggettive disparità tra essi. Tornando alla sostituzione delle caldaie, sono comunque previsti incentivi, che però potrebbero non essere sufficienti a rappresentare un valido aiuto per famiglie e imprese. Si temono inoltre ricadute negative in termini di competitività, stabilità e resilienza dell’intero sistema energetico.